CAPRI : E’ SCOMPARSO DON VINCENZO SIMEOLI, PER ANNI AMATO SACERDOTE IN PARROCCHIE DELLA PENISOLA SORRENTINA

CAPRI : E’ SCOMPARSO DON VINCENZO SIMEOLI, PER ANNI AMATO SACERDOTE IN PARROCCHIE DELLA PENISOLA SORRENTINA

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Lo ricorda, con affetto filiale, tratteggiandone brevemente la figura di benemerito uomo di Chiesa, sacerdote d’altri tempi, don Francesco Saverio Casa, rettore della

chiesa di San Paolo a Sorrento, suo figlio spirituale.

“La sapienza dell’umile gli farà tenere alta la testa e lo farà sedere tra i grandi.

Non lodare un uomo per la sua bellezza e non detestare un uomo per il suo aspetto.

L’ape è piccola tra gli esseri alati, ma il suo prodotto è il migliore fra le cose dolci.

Non rispondere prima di aver ascoltato, e non interrompere il discorso di un altro.

Per una cosa di cui non hai bisogno, non litigare.

Persevera nel tuo impegno e dèdicati a esso, invecchia compiendo il tuo lavoro”.

 

(Dal Libro del Siracide, capitolo 11).

 

Don Vincenzo Simeoli è passato all’altra riva: ieri sera, nel giorno del suo onomastico, nel lunedì dell’angelo ha vissuto la sua pasqua di risurrezione.

Era l’ottava di Pasqua del 1990. Nella Chiesa parrocchiale del SS. Salvatore in Schiazzano di Massa Lubrense dove era parroco, Don Vincenzo desiderò offrire alla comunità dei fedeli un segno benevolo e mai dimenticato: presentare a bambini, adolescenti, maturi ed anziani un giovane seminarista che a breve sarebbe entrato a far parte della comunità del Pontificio Seminario Interregionale Campano di Posillipo a Napoli. Era la medesima comunità la quale aveva accolto Don Vincenzo anni prima. Quella sera, al di là di ogni prevedibile forma dicente l’ingresso di un nuovo levita in seminario, al di là di ogni schema di pastorale vocazionale, Don Vincenzo credette fermamente che alla celebrazione dell’Eucaristia, da lui presieduta, potesse avere come frutto immediato l’indicare “coram populo” l’avvio nel cammino verso il sacerdozio di un diciannovenne massese.

Ci sono voluti più di venticinque anni, perché quel diciannovenne diventato sacerdote, potesse essere nuovamente accolto da Don Vincenzo e questa volta sull’isola di Capri. L’amabilità del sacerdote caprese, la medesima ricevuta dai compianti sacerdoti e parroci dell’isola Don Costanzo Cerrotta, Don Giuseppe Fontanella e Don Lino Varca, faceva nuovamente capolino nella mia vita. Fui invitato quale predicatore nei giorni in cui la statua di San Costanzo sostò per una settimana nella Parrocchia di Santa Maria della Libera a Capri, dove Don Vincenzo era parroco: per ben tre giorni fui ospitato nella sua casa in compagnia di Andrea e Costanza. Don Vincenzo poneva a distanza di anni, un altro segno di stima e affetto verso la mia persona, desiderando da vero confratello nel sacerdozio di condividere ed assaporare la gioia fraterna la quale nasce e si consolida solo se vissuta con relazioni essenziali e non opzionali.

Sacerdote silenzioso, pacato, riflessivo, temperato ed equilibrato, umile, semplice, discreto, amorevole, attento, presente, amabile e dignitoso mi ha trasmesso fin da quando ebbi modo di conoscerlo il sapiente connubio tra antico e nuovo, tra passato e presente, tra presente e futuro. Don Vincenzo è stato un sacerdote all’altezza dei tempi, figlio del suo tempo, intelligente ermeneuta di eventi, storie ed avvenimenti.

Ha saputo comprendere la situazione antropologica e metafisica dell’uomo moderno e postmoderno, ha evidenziato nei suoi studi e negli scritti confluiti in svariate pubblicazioni che l’identità culturale, sociale, religiosa di un popolo non può prescindere da tutto ciò che è umano e a partire da una visione del cristianesimo che sappia farsi fecondo dialogo tra ragione e fede. Ha saputo essere sacerdote nell’oggi del cuore di Cristo, senza spaccature o crisi identitarie; ha voluto coraggiosamente porsi come testimone di una Chiesa la quale sa di essere sé stessa solo se rimane fedele alla Tradizione Apostolica e al suo Magistero di verità. Ha saputo soffrire in silenzio, anche quando guardato con sospetto da chi, con forma pregiudizievole, notava nel suo essere sacerdote riesumazioni di visioni tradizionaliste ed antiquate di una Chiesa che doveva volutamente liberarsi di inutili apparati onde esprimere meglio sé stessa.

A dire, cioè, con fare inquisitorio e clericalista che gli aggiornamenti dovevano necessariamente passare attraverso una demolizione sistematica di un passato che non doveva mai più riemergere, per questo guardato con disprezzo, cinismo, ironia, sarcasmo; e mai invece svilupparsi come incontro col nuovo – o le mode – le quali, troppo spesso, emergono con forza presuntuosa e dirompente.

Don Vincenzo ha desiderato in corde suo, ascoltare il suo Maestro interiore e a lui solo rispondere con la vita di sacerdote e parroco con una dedizione, per certi versi, sfiancante e consumante. Ne ha dato sempre una prova encomiabile, duratura e feconda nelle diverse comunità parrocchiali che ha servito, guidato ed amato come Cristo buon pastore.

“Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!”. (Luca 12, 37-38)

Amato Don Vincenzo, riposa dalle tue fatiche. Siediti, che Cristo ora passa a servirti.

E

Gaetano Milone

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