E’MORTA LAURA ANTONELLI, ICONA SEXY DEL CINEMA ITALIANO

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E scomparsa a Ladispoli, vicino Roma,l’attrice Laura Antonelli. A dare
l’allarme stamattina intorno alle 8.30 è stata la donna delle
pulizie che l’ha trovata per terra in casa. Arrivati
nell’abitazione gli operatori del 118 non hanno potuto fare
altro che constatare il decesso.   Laura Antonelli
da molti anni aveva legato la sua vita al ricordo di
un tempo glorioso da star e icona “sexy” del cinema italiano e
che adesso se n’è andata in silenzio senza che nemmeno una
persona cara le fosse vicina al momento della morte.
Dal fatale 1991, quando in pochi mesi il mondo le rovinò
addosso prima per uno sciagurato e sfortunato intervento di
chirurgia estetica e poi per un doloroso processo per detenzione
di cocaina, nessuno l’aveva più vista su un set e sempre più
radi si erano fatti i suoi contatti con il mondo esterno, fino a
ridurla in uno stato di prostrazione fisica e psichica che
perfino l’Alta Corte di giustizia europea le riconobbe
conseguente ai ritardi e alla contraddittorietà della giustizia
italiana. Ma per un’intera generazione Laura Antonaz, profuga
istriana nata a Pola il 28 novembre 1941, è stata la più intensa
espressione di fascino, erotismo e sapore del proibito costruita
dall’incerto star system nazionale degli anni ’70.
Emigrata prima a Napoli e poi a Roma, insegnante di
educazione fisica, timida bellezza da fotoromanzi, Laura
Antonelli si avvicina al cinema con registi-talent scout come
Antonio Pietrangeli (“Il magnifico cornuto”, 1964) e Luigi
Petrini (“Le sedicenni”, 1965). Sono gli anni in cui il corpo
femminile viene “sdoganato” al cinema sull’onda dei primi
fremiti proto-femministi della Swinging London e di questi
approfitta Massimo Dallamano per offrirle una parte da
protagonista in “Venere in pelliccia” dal romanzo-scandalo di
Leopold von Sacher-Masoch nel 1969. Il film viene bloccato dalla
censura (ancora oggi è sostanzialmente invisibile la versione
originale) e quando uscirà, nel 1975, col titolo “Le malizie di
Venere”, risulterà totalmente stravolto e irriconoscibile. Ma
per la bella Laura, che nel frattempo il pubblico aveva
conosciuto solo in qualche “carosello”, rimarrà un segno del
destino: la sua bellezza bionda, anomala e antica era destinata
a incarnare un ideale femminile del maschio italiano ben diverso
da quello delle tradizionali “maggiorate” e dalla stirpe delle
donne mediterranee, da Sophia Loren a Monica Bellucci.
Lei appartiene invece ad un altro mitico quartetto: quello
delle istriane che aveva in Alida Valli il prototipo e poi
avrebbe dato al nostro cinema la seducente Sylva Koscina e la
maliziosa Femi Benussi (quasi coetanea di Laura e sua rivale in
tante commedie erotiche degli anni ’70). “Sono bassina – diceva
di sé -, un po’ tondetta e ho le gambe piuttosto corte: chissà
perché piaccio?”. Tutto questo però non mostrò Pasquale Festa
Campanile esibendo la sua schiena (“La più bella mai vista dopo
Marylin” – diceva il suo partner Lando Buzzanca ne “Il merlo
maschio” del 1971) e neppure Salvatore Samperi (altro regista
“contestatore” degli anni ’60) che la scelse per “Malizia” nel
1973 esaltandone la seduttività casalinga in “Malizia”. Fu un
trionfo tanto clamoroso quanto inatteso e il film aprì le porte
– oltre la volontà di autore e produttori – al filone della
commedia erotica.
Fu difficile da quel giorno per Laura Antonelli liberarsi da
un cliché anche se a lungo volle smarcarsi da un modello che
contrastava con il suo carattere e le sue ambizioni. A Parigi
stava diventando una donna-copertina per il successo, a fianco
di Jean-Paul Belmondo in “Trappola per un lupo” di Claude
Chabrol e per la turbolenta relazione amorosa con il divo
francese. In Italia restava la musa di Samperi per “Peccato
veniale” (1974) ma cercava occasioni più prestigiose con Dino
Risi (“Sessomatto”) e Luigi Comencini “Mio dio, come sono caduta
in basso!”. E tra il 1975 e il 1977 ebbe la grande occasione
della sua vita: la elessero ad icona del cinema d’autore Peppino
Patroni Griffi (“Divina creatura”), Luchino Visconti
(“L’innocente”) e Mauro Bolognini (“Gran bollito”), contando
sulla sua bellezza per arrivare al grande pubblico. Forse solo
Visconti seppe aggiungere alla sua presenza scenica il lato
segreto dell’attrice, la sua fragilità tormentata che celava un
desiderio di normalità inespresso. Ma anche occasioni di
prestigio come le due collaborazioni con Tonino Cervi nel segno
di Molière (e di Alberto Sordi” tra “L’avaro” e “Il malato
immaginario”) finirono nel calderone di una popolarità che
guardava più alle sue gambe e al bellissimo fondoschiena che
alla sensibilità del volto e delle emozioni.
In verità chi volesse scrivere la storia del cinema italiano
degli anni ’80 rintraccerebbe la grande fedeltà di Laura
Antonelli ai “suoi” registi e ad autori di qualità: così si
spiegano i sodalizi con Patroni Griffi (“La gabbia”), Bolognini
(“La venexiana”), Ettore Scola (“Passione d’amore”). Come una
nemesi tornò invece a Samperi in quel fatale 1991 per un remake
del suo film più amato e chiacchierato: uno sfortunato “Malizia
2000” che non pagò al botteghino, le costò un volto sfigurato
dalla reazione allergica alle iniezioni di collagene, segnò di
fatto il suo addio agli schermi. Tre anni fa l’unico a chiedere
onore e pietà per lei fu Lino Banfi. Tutto il resto fu silenzio.

 

 

laura antonelli

Gaetano Milone

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