SILERE NON POSSUM
“L’alternativa a una Chiesa senza dottrina, non è una Chiesa pastorale, ma una Chiesa dell’arbitrio e schiava dello spirito del tempo”.
Proprio così: ed ecco che riemergono i fatti enunciati dell’Arciconfraternita del Gonfalone dei Santi Prisco e Agnello e della Confraternita dei Giuseppini e del silenzio che a tutt’oggi si respira nella Curia sorrentina.
Ma oltre a tutto il caos che si percepisce all’Ufficio Confraternite di Sorrento, ed il disagio di assumere una posizione netta e concisa, così come previsto dal Codice in merito a quanto accaduto ed ampiamente scritto, compaiono anche problemi poco etici e molto venali che si riscontrano nelle diocesi della penisola italica, che conservano una tradizione secolare nell’accumulare patrimoni, così grandi da non venire nemmeno censiti.
Ci sono monsignori che guidano vere e proprie società per azioni, con investimenti in tutti i settori, persino in quelli che la Chiesa ha messo all’indice, come i compro – oro che incentivano l’indebitamento.
Holding a controllo ecclesiastico che continuano a crescere, con nuove acquisizioni come quella che ha portato la diocesi bolognese a conquistare la maggioranza assoluta della Faac, il colosso dei cancelli automatici, o fondi immobiliari, come quello creato nel 2013 dalla diocesi di Bergamo con un portafoglio di 107 milioni. Una moltitudine di palazzi, quote di banche e fabbriche, ospedali e strutture per anziani, partecipazioni in giornali e radio che fa capo alle 227 diocesi italiane e sfugge a ogni monitoraggio.
Questo impero economico è ancora lontano dal messaggio di papa Francesco: «La chiesa deve parlare con la verità e la povertà. Invece ci sono questi sacerdoti e vescovi che si servono della chiesa: gli arrampicatori, gli attaccati ai soldi».
Tanto che in alcune sedi i fedeli hanno cominciato a chiedere di “scacciare i mercanti dal tempio”. Il primo segnale è arrivato da Bolzano, dove il sinodo locale si è concluso con una dichiarazione netta: più trasparenza, subito, e la rinuncia al patrimonio, seppur “a medio termine”. E anche Bergoglio è intervenuto direttamente, affidando a due prelati di chiara vocazione pauperista la guida delle diocesi di Bologna e Palermo, le più discusse per la passione dell’investimento. «Ancora oggi i vescovi sono fermi al Medioevo: usano i soldi come se non conoscessero il Vangelo, sono ossessionati dal potere. È difficilissimo cambiare direzione, per questo il papa trova tante resistenze».
IL FORZIERE DEI SEGRETI
Il censimento del tesoro dei vescovi è un mistero paragonabile al terzo segreto di Fatima. Perché a gestirlo è una pletora di istituzioni in cui sacro e profano si confondono, moltiplicando gli abusi e le malversazioni, che spesso alimentano debiti profondi nelle casse nate con il pio intento di soccorrere i bisognosi. Lo stesso Bagnasco negli anni ruggenti della fondazione genovese Carige – grazie ai due nomi che indicava nella consiglio di amministrazione – indirizzava sovvenzioni per oratori e ospedali religiosi sotto il suo controllo, mentre la banca ligure finiva nel baratro.
Un anno fa il Vaticano ha richiamato tutti all’ordine: «I beni siano strumento di evangelizzazione e non di scandalo», ha detto monsignor Antonio Neri, sottosegretario alla Congregazione del clero: «È necessario che ogni diocesi metta a punto bilanci preventivi e consultivi». Ma pochi hanno risposto all’appello. E lo status privilegiato degli enti ecclesiastici diventa il classico coperchio del diavolo: «Le regole della democrazia societaria saltano con questi enti: non pubblicano né il bilancio né lo statuto. È un mondo reticente e opaco», sottolinea Giuseppe Casuscelli, già ordinario di diritto ecclesiastico alla Statale di Milano.
I BILANCI VENGONO CHIESTI SOLO ALLE CONFRATERNITE, MA LE STESSE NON HANNO MAI AVUTO IL PRIVILEGIO DI CONOSCERE I BILANCI PREVENTIVI E CONSUNTIVI DELLA CURIA DI SORRENTO.
Questa santa deregulation ha coperto e copre una litania di intrallazzi, che ormai emergono con regolare cadenza in una via crucis di ammanchi e speculazioni.
Ad esempio a Savona è stato commissariato l’istituto per il sostentamento del clero, dopo che è sfumata l’operazione da 70 milioni per trasformare le ex colonie balneari in un resort a pochi metri dal mare. Lo stesso ente è al centro di uno scandalo a Terni: i suoi dirigenti sono stati arrestati con l’accusa di avere truccato l’asta per mettere le mani sul castello di San Girolamo. Perno di tutti gli affari è proprio l’istituto per il sostentamento del clero. Al Vaticano, quello centrale raccoglie un terzo del contributo dell’otto per mille per pagare gli stipendi dei prelati. Perché nonostante l’immenso patrimonio, l’aiuto arriva dallo Stato.
Con la firma nella dichiarazione dei redditi più di 19 miliardi di euro raccolti in trent’anni sono andati alla Santa Sede.
NELLE CURIE C’E’ L’ORO DEL DIAVOLO
Le diocesi inevitabilmente delegano la gestione a professionisti esterni. E più gli investimenti sono complessi, più il controllo diventa difficile.
BUGIE E SOLDI
I vescovi servitori di due padroni – Dio e ricchezza – spuntano anche al Sud. A Palermo, per anni il potere «immobiliare» della Curia è stato al centro di liti e scelte controverse. Per monsignor Giuseppe Pecoraro, economo in pensione, non ci sono dubbi: quel patrimonio è gestito male, decine di case pensate per i preti e affittate ai privati. E patrimoni delle opere pie svenduti per fare cassa. Come l’area Quaroni, un maxi terreno abbandonato nel centro storico. All’arcivescovo emerito Paolo Romeo era stato chiesto di donare quello spazio per farne un parco o un centro per i bambini. Ma dopo anni di immobilismo è arrivata la scelta di affidarla al gruppo Eurocostruzioni e trasformarlo in abitazioni lussuose e uffici.
Grazie alle lobby che i movimenti ecclesiali hanno costruito, la Chiesa cattolica può ricevere cospicui finanziamenti pubblici e privati nei settori della scuola e della sanità”.
Il futuro del San Raffaele, l’ospedale fondato da don Verzè, dipende dallo Ior, l’Istituto per le Opere di Religione. La banca vaticana, insieme al gruppo Malacalza, si è offerta per evadere tutte le passività maturate dalla struttura.
A Milano l’Opus Dei conta su un patrimonio immobiliare stimato tra i 300 e 400 milioni di euro. L’esenzione dell’Ici concessa alla Chiesa cattolica priva lo Stato di 700 milioni di euro ogni anno.
Le fondazioni e le associazioni dell’Opus Dei non hanno azionisti quindi non hanno l’obbligo di pubblicare un bilancio. Nel 2002 lo Stato ha depenalizzato il falso in bilancio. Ogni anno in Italia 120 miliardi di euro sfuggono al controllo fiscale.
DATE A CESARE QUEL CHE E’ DI CESARE E A DIO QUEL CHE E’ DI DIO
A Sorrento vogliono quello che è di Cesare e quello che è di Dio, invece della raccolta differenziata, c’è solo la raccolta come fosse una slot machine in merito a finanziamenti pubblici e privati.
INTANTO DAL DISAGIO DI UN MANCATO PROVVEDIMENTO, SI E’ GIUNTI ALLA VERGOGNA PIU’ TOTALE, DOVE IL PERMISSIVISMO PORTA AD UNA CONCEZIONE DI AFFILIAZIONE.
Il Confratello
Rosario Salerno