Morire a 16 anni

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San Daniele (Udine). L’una e mezza di notte passata, tra il sabato 16 e la domenica 17 novembre. Otto adolescenti, sette maschi e una ragazza, stanno chattando nell’isolamento delle loro camerette, in una serata che non vorrebbero pigramente mai chiudere. All’improvviso, l’idea fatale. Daniele Burelli, 16 anni, prende l’auto della madre mentre lei sta dormendo in casa, si mette alla guida caricando i sette amici, tutti quindicenni. Il video dal sapore ora terribilmente macabro viene postato sui social prima dello schianto, per scorrere ora sugli schermi di milioni di attoniti spettatori. “Otto in un’auto”, postano euforici. Dopo neanche 10 chilometri, l’impatto, terrificante, contro un palo della luce e poi un cartello stradale fa cappottare l’Opel Corsa, trasformandola in un ammasso di lamiere e spegnendo sul colpo la vita del conducente a soli 16 anni. Feriti gli altri sette amici con prognosi dagli otto ai venti giorni. La madre di Daniele piange in tv: “Ragazzi, non fate come mio figlio, non bruciate la vostra vita”. Da questa tragedia emergono due rischi cui sono esposti gli adolescenti oggi: l’amore per il rischio e la trasgressione, tipico da sempre dell’età adolescenziale, e il bisogno di “successo” attraverso il web, misurato dal ricevere commenti, approvazioni e consensi, proprio dei “nativi digitali” per nutrire la loro fragile autostima.  Per aumentare la probabilità di colpire, stupire, divertire, provocare, i giovani sono pronti a tutto, perfino a mettere in gioco la propria vita. Fino a perderla.

Carlo Alfaro

Carlo Alfaro

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