“E un giorno sarà utile ricordare tutte queste cose”, furono le ultime parole pronunciate sul patibolo da Eleonora Pimentel Fonseca (Roma, 13 gennaio 1752 – Napoli, 20 agosto 1799), eroina e martire della Rivoluzione napoletana del 1799. Le sue parole sono echeggiate, tra il pubblico partecipe e commosso, nel corso della presentazione, il 3 maggio 2019 a Villa Fondi, in Piano di Sorrento, dell’importante saggio “Storia di una Rivoluzione: il 1799 a Napoli” di Ciro Raia (Guida editori), organizzata con la collaborazione della Libreria L’indice di Luigi De Rosa a Piano di Sorrento. Si è vissuta collettivamente per un paio d’ore una catartica full immersion nella storia, nella cultura, nelle emozioni, nel teatro e nella musica, grazie all’organizzazione perfetta che ha voluto creare un momento di estrema suggestione attorno alla storia della Rivoluzione Napoletana del 1799, ispirata ai valori di Legalità, Uguaglianza e Fratellanza e conclusasi tragicamente dopo appena sei mesi, come racconta mirabilmente l’Autore nel suo testo completo quanto appassionante. Dopo il saluto del Sindaco, dottor Vincenzo Iaccarino, ne hanno discusso con l’Autore la dottoressa Marialaura Gargiulo, il dottor Ciro Daino e il professor Alfonso Paolella, coadiuvati dal reading teatrale a cura di Carlo Alfaro in perfetto look “giacobino” e dai contrappunti musicali del mitico duo Rosalba Spagnuolo e Franco Cesarano. Come media partners sono intervenuti Sara Ciocio per Positanonews e Michele De Angelis per Mda Set Comunications di Lina e Michele De Angelis.
La discussione ha condotto la platea direttamente nell’atmosfera del 1799, quando, nel Regno di Napoli, governano Ferdinando IV di Borbone e sua moglie Maria Carolina, l’uno noto per la sua superficialità, ignoranza e ridicolaggine (era soprannominato il “Lazzarone”), l’altra per la sanguinaria e cieca cattiveria, tanto è vero che alla Storia passerà l’affermazione che “il vero re è la regina”. Il popolo, specialmente nella città capitale del Regno, è morbosamente legato al re e accoglie, pertanto, con diffidenza le prime esperienze giacobine nate sull’onda della rivoluzione francese. Poi, con l’arrivo del generale francese Championnet, prende forma l’idea della repubblica e si dà vita ad un governo, che dura in carica solo sei mesi. Presto, infatti, l’ideale repubblicano di una nuova coscienza civile, politica e sociale, affoga nel sangue della atroce repressione voluta in primis dalla feroce regina Maria Carolina. Il grande storico e intellettuale Ciro Raia firma il racconto, puntuale e sincero ma anche carico di pathos coinvolgente, di uno spaccato di storia che, pur nella sua tragica brevità, ha posto le basi delle società moderne. Il lavoro è il punto di approdo di una pluriennale ricerca storiografica condotta con indomita passione dall’Autore, tra scritti, atti, documenti, cronache e carteggi del tempo. Leggere le pagine di Raia ci donano la consapevolezza delle nostre radici per guardare al futuro con la stessa forza visionaria che Eleonora, mente aperta e illuminata, anima di profondo spessore, politica appassionata e lungimirante, intellettuale finissima, donna di cultura estrema, letterata, poetessa e scrittrice di elevato sentire, fondatrice del “Monitore” della Repubblica, ma anche moglie sofferta e madre negata, ha espresso nella sua vita rivoluzionaria, fino all’estremo martirio che l’ha immolata alla Storia come il simbolo della Prima Repubblica napoletana, basata su una nuova costituzione ispirata ai valori di libertà e di autodeterminazione. Sullo sfondo, la Napoli tardo settecentesca, ricca di umori e fremiti libertari, ma anche di insormontabili pregiudizi e biechi oscurantismi, popolata da una plebe confusionaria, sporca, ladra, amorale, feroce ed impulsiva fino alla bestialità. Tanti i fatti, gli aneddoti, le notizie di cui l’Autore rivela accuratamente evoluzione, retroscena, conseguenze, ambientazione, trascinando il lettore in un vortice emotivo potente. Come quando racconta che, durante la rivoluzione partenopea, su insistenza del generale francese Champonniet, il Cardinale Zurlo fu costretto per ben tre volte a esporre la famosa ampolla col sangue di San Gennaro, che si liquefò tutte e tre le volte, segno che era favorevole ai giacobini, liquefazione che indignò profondamente il re e i suoi seguaci tant’è che, fallita la rivoluzione, i lazzari napoletani “deposero” San Gennaro e proclamarono “nuovo santo patrono e nuovo generalissimo di tutti gli eserciti napoletani” Sant’Antonio da Padova, addirittura un simulacro di San Gennaro fu impiccato e poi gettato in mare, a sfregio delle sue simpatie giacobine. Sant’Antonio fu Patrono di Napoli per 15 anni, poi San Gennaro tornò Santo Patrono di Napoli quando nel 1814 fermò la lava del Vesuvio, al contrario del Santo padovano, che meritò pertanto la “destituzione”. Nel corso della presentazione, è stato ricordato anche il martire della Penisola sorrentina della Rivoluzione napoletana, Luigi Bozzaotra, notaio, la casa della cui famiglia è diventata sede del Municipio di Massa Lubrense, come recita la frase sulla facciata. Nato a Massa Lubrense il 20 agosto 1763, fu impiccato il 22 ottobre 1799 sul patibolo a Piazza Mercato a Napoli per il suo impegno a favore della Repubblica napoletana. Nel 1798 era stato designato Cancelliere della Repubblica Cisalpina; ricoprì altre cariche onorevoli, e nel 1799, per mandato affidatogli dal governo della Repubblica Napoletana, piantò l’albero della libertà a Massa Lubrense. Fu tra i patrioti che combatterono valorosamente, ma senza successo, il 13 giugno alle porte di Napoli contro l’esercito del Cardinale Fabrizio Ruffo.
Carlo Alfaro