MASSA LUBRENSE: 8 MARZO,LA CHIESA FESTEGGIA LA SALITA AL CIELO DEL SUO PATRONO SAN CATALDO

MASSA LUBRENSE:  8 MARZO,LA CHIESA FESTEGGIA LA SALITA AL CIELO DEL SUO PATRONO SAN CATALDO

MASSA LUBRENSE: 8 MARZO,LA CHIESA FESTEGGIA LA SALITA AL CIELO DEL SUO PATRONO SAN CATALDO

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Una fede ed una devozione antica, come la Cattedrale intitolata a Santa Maria delle Grazie, ripropongono domani, 8 marzo, la “Morte di San Cataldo”, una delle due celebrazioni (l’altra, il dieci maggio, celebrazione della festa in suo onore) in onore del Santo Patrono, Cataldo.

Com’è consuetudine, ne tratteggia brevemente la vita, don Saverio Casa, figlio e sacerdote benemerito di Massa Lubrense. Un appuntamento in Chiesa, nell’antica Cattedrale di Massa Lubrense, a cui i massesi non sono mai mancati e, particolarmente sentito, in questo periodo di Covid e grosse preoccupazioni per i fratelli ucraini alle prese con una guerra terribile, inaspettata e non voluta.

 

La “morte di San Cataldo”

Massa Lubrense e Taranto: due Città congiunte nel 950° Anniversario dell’invenzione del corpo del Santo

Scrive Giuseppe Febbraro in Note a margine della leggenda agiografica di San Cataldo patrono di Taranto, Pre-testi, Storia medievale, Bari: “Il più antico ufficio conosciuto sul santo è il Sermo de inventione corporis Sancti Kataldi. Questo saggio fu trascritto nel 1174 in un codice del monastero benedettino di San Severino a Napoli, e studiato per la prima volta dall’Hofmaister, rivela che l’inventio del corpo di un santo definito patrono di Taranto, fu effettuata dal monaco longobardo Atenulfus poco fuori le mura della città, e che le reliquie vi furono da questi immediatamente portate all’interno per sottrarle ai Normanni che la stavano assediando”. (A. Hofmaister, Der Sermo de inventione Sancti Kataldi. Zur Geschicte Tarents am Ende des 11. Jahr, in «Muenchener Museum», IV (1924), pp. 101-114.

L’ 8 marzo del 1932, il Sac. Prof. Andrea Martini di Taranto, dava alle stampe la Vita di San Cataldo, Vescovo e Protettore di Taranto, Edizione S.T.A.T. Del testo citato si riporta: “La nascita di San Cataldo è da porsi tra il 400 e 405: venne ordinato sacerdote tra il 433/435, nominato vescovo invece verso il 440. Si recò a Gerusalemme nel 450. Governò la Chiesa di Taranto per circa 30 anni; morì tra i 70 e 80 anni, tra il 475 e 480. Quanto tempo sia vissuto a Taranto, non si sa con precisione: forse una ventina d’anni. Il secolo V volgeva al tramonto. Si era tra il 475 e il 480. Cataldo, inoltrato negli anni, colpito da grave malattia, e sentendosi vicino a morire, chiamò a sè il Clero e i principali cittadini e tenne loro un discorso che fu il suo testamento spirituale: E’ giunto per me, egli disse, il tempo di lasciare questo mondo. Sappiate, o fratelli, che io non a caso approdai in questa nostra città, ma per volontà di Dio. Mentre ero in Gerusalemme, Gesù Cristo nostro Signore si degnò di parlarmi e d’ingiungermi di venire a ravvivare nei vostri petti quella Fede che era stata insegnata ai vostri padri da San Pietro e da San Marco. La qual cosa, con l’aiuto di Dio io feci. Darete sepoltura a questo mio corpo nella Cappella di San Giovanni in Galilea, accanto alla Cattedrale, con la faccia rivolta ad oriente per aspettare da quel luogo il giorno della futura risurrezione. Poi, ricevuti i Sacramenti, rivolti gli occhi al cielo congiunse le mani come in atto di preghiera, mentre la beata anima abbandonava le spoglie mortali il dì 8 marzo per volare al premio eterno. Il suo corpo fu portato con pompa solenne nella Chiesa, tutto il popolo pianse la perdita del Santo Pastore, e per più giorni si recò la folla nel duomo a piangere e pregare intorno al suo cadavere. Composto il corpo in un sarcofago di marmo, venne sepolto nel luogo da lui designato. Dopo la battaglia di Melfi fra Greci e Normanni, la Chiesa di Taranto era rimasta di nuovo senza Pastore. I Normanni per avere anche in Taranto una base spirituale, di prim’ordine, si adoperarono perché alla sede Arcivescovile di questa città venisse designato un loro aderente. Vi fu infatti nominato un normanno di nome Drogone nel 1050, quando Leone IX, per rialzare la disciplina del clero e per affermare la supremazia di Roma e l’indipendenza del Papato da ogni influenza imperiale, orientale od occidentale che fosse, teneva vari concili a Roma, a Siponto, a Firenze, a Padova, a Vercelli. Boemondo Principe di Taranto, l’eroe immortalato da Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata, devotissimo di San Cataldo, donò all’Arcivescovo Rainaldo la decima parte dei suoi beni, e l’Arcivescovo allora pensò di abbellire il Duomo e contemporaneamente con gran solennità e con gran pompa fece togliere il sarcofago di San Cataldo dall’altare in cui era stato collocato ai tempi di Drogone, e lo fece mettere ai piedi dell’Altare Maggiore.

 

 

Continua il Prof. Martini: Primo pensiero di Drogone fu quello di restaurare ed abbellire la città. La Cattedrale in special modo era collabente, come si esprimono i cronisti locali del 1300 e gli scrittori del 1600. Drogone la fece abbattere, e volle che ne venisse edificata un’altra più grande nel medesimo posto. Nello scavare le fondamenta del nuovo tempio, ecco che si trovano alla presenza d’un sepolcro di marmo, da cui esalava una soavissima fragranza. Si apre delicatamente l’urna; e che si vede? Avvolte in abiti Pontificali, non del tutto consunti dal tempo e dall’umidità, le Sacre e Venerate spoglie di un Santo Vescovo certamente. Ma di quale Vescovo? Si vede sul petto luccicare qualche cosa: è una piccola croce benedizionale di oro, su cui vi è inciso con caratteri latini un nome: Cataldus. Dunque quella era la tomba del Vescovo Apostolo di Taranto, di cui rimanevano bensì le tradizioni e il culto, ma s’ignorava il luogo preciso dove era stato sepolto! Ai piedi eravi una tavola a forma di libro o di messale, ricoperto da una lamina d’argento, su cui era incisa l’immagine del Salvatore in mezzo ai suoi Apostoli. Probabilmente all’interno doveva essere vuoto, perchè assicurano gli scrittori di quei tempi, che, picchiandovi su, mandasse come un suono. Essa si conservò tra i preziosi cimelii del Santo sino al secolo XVI. Ma poi dopo che la Cattedrale s’incendiò, nella notte di Natale del 1635, non se ne ebbe più memoria. Assicurano pure che per quanti sforzi, quando fu trovato e anche in appresso, si fossero fatti, anche con scalpelli, non fu possibile aprirla e vederne il contenuto. Furono trovati anche due anelli di oro; in uno di essi vi era incastonata una pietra di porfido e nell’altra di topazio. Ciò accadde il 10 maggio 1051. Nella crocetta che ora conservasi in un ricco reliquario, vi sono due iscrizioni: una rimonta all’epoca stessa di San Cataldo, ed è quella in cui è scritto Cataldus; l’altra, dalla faccia opposta, è quella che osservasi ora, e che fu incisa evidentemente all’epoca del ritrovamento per precisare anche la patria del Santo; e le parole son queste: Cataldus Ra cau. In un pregiato studio si venne a queste conclusioni: che debba leggersi Cataldus Racau; che Cataldus appartiene all’epoca stessa in cui visse e morì San Cataldo; che la sillaba Ra fu aggiunta da altra mano, da altro incisore nel tempo dell’invenzione; che la sillaba Cau, fu aggiunta a completar e render inequivocabile la parola, e fu aggiunta nel tempo nella seconda traslazione nel sec. XII.

Sul finire dell’ultima guerra Massa Lubrense visse un’insperata giornata: acquartierato fu nell’ex Collegio dei Gesuiti, ex convalescenziario militare in via dell’Arco, il Reggimento della Guardia irlandese di Sua Maestà britannica, ed il 17 marzo 1944 regalò alla comunità la festa di San Patrizio, conterraneo di San Cataldo. Il parroco di allora Mons. Giuseppe Iaccarino celebrò nell’ex – Cattedrale la solenne Messa e dal coro composto dagli artiglieri piacentini fu eseguita la Messa Te Deum Laudamus di Lorenzo Perosi. Durante il rito il Maresciallo Alexander, capo dell’VIII armata alleata, fece dono ai presenti dello “shamrock”, cioè di un trifoglio emblema nazionale irlandese secondo la consuetudine della festa di San Patrizio. In piazza Vescovado poi lo stesso Alexander, il comandante militare della Penisola Sorrentina Michael Musmanno, il commissario al comune Busacca, assistettero alla sfilata della Irish Guard preceduta da un reparto di Big Pipe, suonatori di cornamusa in gonnellini scozzesi. (N. Coppola, San Cataldo e il suo culto. Tipografia G. Scarpati, 1988)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gaetano Milone

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