SORRENTO: E’ DI SCENA LA FARSA. LA CADUTA DEGLI DEI E GLI ULTIMI GIORNI DI…..

SORRENTO: E’ DI SCENA LA FARSA. LA CADUTA DEGLI DEI E GLI ULTIMI GIORNI DI…..

SORRENTO: E’ DI SCENA LA FARSA. LA CADUTA DEGLI DEI E GLI ULTIMI GIORNI DI…..

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A Sorrento è di scena la farsa

Una farsa è un genere di opera teatrale la cui struttura e trama sono basate su situazioni e personaggi stravaganti, anche se in generale viene mantenuto un certo realismo nei loro aspetti irrazionali.

Anche se la farsa è prevalentemente comica, a volte più avere risvolti non proprio esilaranti, come quella che mi è capitata di vedere stamane su YouTube con due strani mimi e una voce narrante che, credo volutamente per dare più enfasi alla scena, biascicava, incespicava, s’ingarbugliava nell’italiano lessico.

Il tutto ha ricalcato la “farce” il genere che s’impose in Francia nel XIII secolo grazie ad Adam de la Halle con la sua opera Jeu de la feuillée (1276), dove il protagonista è un diavolo, progenitore di Arlecchino. I “povero diavoli” in scena, hanno suscitato ilarità come quando uno incespica, cade malamente. La memoria corre a “La caduta degli dei”, “La caduta dei giganti”, “La caduta della casa degli Usher”, “La caduta – Gli ultimi giorni di Hitler”.

Vi esorto a non paragonare la mediocre ripresa a simili capolavori, qui non stiano assistendo alla «caduta degli dei», semmai assistiamo, piuttosto, a un’ennesima puntata dello «spettacolo dei pupi».

Dati i personaggi, più che alla rovina maestosa di certe atmosfere tragiche, qui si assiste al capitombolo grottesco satireggiato da Federico Fellini e Ennio Flaiano.

L’addio di chi si pensa emulo di Napoleone potrebbe coincidere con la fine di un mondo, della heimat «sorrentina», in cui stringersi fra simili a difesa della tirannia. È l’ultimo atto di un quinquennale sogno agorafobico, ma, speriamo, anche la chiusura di una prospettiva autoritaria.

 Vassalli pronti, con modalità assai diverse fra loro e una speculare volontà di impotenza, a spalleggiare il “re nudo” e tutt’intorno, il vuoto. Parlavamo della “caduta” degli dei, ebbene, aizzato da chi da tempo ha tradito la nobile missione del giornalista, la farsa ha mostrato la tipica astuzia di chi non sa più che pesci prendere: segare il ramo su cui siede.

La farsa distorce la realtà e si vuol far credere che la Cultura (volutamente con la maiuscola) si misura in followers. Forse che a Sorrento abbiamo un popolo supino? No! Ma di certo nulla può quando gli viene sottratto il diritto alla partecipazione e deve subire dall’alto la bulimica pressione di chi esercita il suo ruolo senza contraddittorio.

Uno che crede di essere leader affidandosi al populismo mediatico, al giudizio trinciante, alla decisione non condivisa, al balletto delle maschere in commedia. Leader circonfuso di nimbo profano, irraggiungibile se non dai «cerchi magici» degli adepti o delle ancelle. Una dimensione del potere che non sarebbe fuorviante definire tout court «mussoliniana».

Sì, perché l’archetipo del sovrano racchiude in sé le migliori caratteristiche quando diffonde l’amore per la conoscenza e lo studio tra i suoi concittadini, ma qui abbiamo il “re nudo” per il quale il comandare (non solo è meglio che fottere, talora è fottere) non presta orecchio al crepitare del crollo imminente, all’annuncio della fine.

Lui e il suo sciame di valvassini e valvassori, passeggiano pavoneggiandosi, certi che per loro non c’è tramonto. Tronfi nella loro superbia non si preoccupano troppo, fiduciosi in sé stessi, ovvero nel trasformismo o gattopardismo intrinseco alla storia d’Italia e vanno ripetendo a destra e a manca: «Tutto deve cambiare perché tutto resti eguale» (Giuseppe Tomasi di Lampedusa).

Devo riconoscere al “re nudo” alcuni pregi, pertanto mi corre l’obbligo di dirgli che la “caduta” può essere motivo di risurrezione. Lo invito alla lettura dell’ode «La caduta» di Giuseppe Parini.

In seguito ad un fatto realmente accaduto al poeta (una caduta per le strade di Milano, dovuta anche alle precarie condizioni fisiche), all’epoca cinquantaseienne; il testo intende affermare la dignità dell’uomo e del poeta, il quale deve salvaguardare l’autonomia della propria arte, non ponendola al servizio di nessuno. Dall’ode si evince una concezione di vita basata sul rispetto della giustizia e della verità. Giustizia e verità che invochiamo a gran voce…

Gaetano Milone

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